Accolto il ricorso sul rifiuto di differimento della pena a un detenuto con grave patologia psichica
La Corte di Cassazione ha ribaltato la sentenza del Tribunale di Sorveglianza di Roma che aveva respinto le domande del detenuto e del suo legale per il differimento dell’esecuzione della pena e la detenzione domiciliare.
Nel settembre del 2017, il Tribunale di Sorveglianza di Roma non aveva accettato le domande del detenuto e del suo legale che richiedevano che il soggetto scontasse la pena ai domiciliari date le sue patologie di natura psichica. Il Tribunale ha riconosciuto la presenza e la gravità della patologia ma non ha concesso l’istituto di differimento della pena o la detenzione domiciliare in quanto sono istituti limitati a gravi patologie di tipo fisico. Il recluso era stato quindi ritenuto adeguato a scontare la pena in carcere, sempre sottoposto alla somministrazione della terapia farmacologica e colloqui con gli operatori. Il detenuto è ricorso in appello adducendo diversi motivi. Secondo l’opinione del legale, infatti, sarebbe stata trascurata la valutazione dei sanitari di una sua incompatibilità con il regime detentivo a causa dell’aggravarsi della patologia. Inoltre sarebbe stato violato l’Art. 27 della Costituzione che prevede che “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”. Date le condizioni del recluso il carcere sarebbe in contraddizione con la finalità rieducativa.
La Cassazione ha trovato fondato il ricorso soprattutto poiché nel febbraio 2019 è stato dichiarato illegittimo l’Art. 47 comma 1 della legge n. 354 del 1975 che prevedeva la detenzione domiciliare solamente per patologie fisiche: “persone in condizioni di salute particolarmente gravi, che richiedano costanti contatti con i presidi sanitari territoriali”.
La Corte di Cassazione ha inoltre sottolineato come la malattia psichica sia fonte di sofferenze non meno di quella fisica e per questo anche l’Articolo 32 della Costituzione sulla tutela della salute dei cittadini deve “intendersi come comprensivo non solo della salute fisica, ma anche della salute psichica, alla quale l’ordinamento è tenuto ad apprestare un identico grado di tutela”. Inoltre, anche la Corte Europea dei Diritti dell’uomo, nel 2015, ha ritenuto che in certi casi tenere in stato di detenzione una persona con gravi patologie psichiche possa diventare un vero e proprio trattamento inumano e degradante. Per queste motivazione la Cassazione ha annullato l’ordinanza impugnata e ha richiede al Tribunale della Sorveglianza di Roma di riesaminare il caso.
Alcuni stralci della sentenza Corte Suprema di Cassazione Prima Sezione Penale 29488-19: […] la sofferenza che la condizione carceraria inevitabile impone di per sé a tutti i detenuti si acuisce e si amplifica nei confronti delle persone malate, sì da determinare, nei casi estremi, una vera e propria incompatibilità tra carcere e disturbo mentale
[…] In tale quadro si evidenzia che la misura in questione può essere “modellata” dal giudice sì da salvaguardare tanto il fondamentale diritto alla salute della persona sottoposta ad esecuzione penale che le esigenze di difesa della collettività, così come l’allocazione del portatore della patologia psichica non è da individuarsi necessariamente con il domicilio, ma con il luogo “più adeguato” a contemperare le diverse esigenze coinvolte.